martedì, 18 luglio 2023
AMBASSADOR’S WAY: MARCELLO SALVATORI
Marcello Salvatori, tre generazioni di panificatori alle spalle, ma lei sceglie di studiare chimica. Perché?
“Chi lo sa. Difatti sono durato tre anni per poi tornare all’arte bianca, nonostante mio padre non volesse, perché diceva che era un mestiere duro. Comunque sia, scelsi di cambiare vita e mi iscrissi al Capac di Milano, e tramite la scuola feci un mese di formazione a Parigi. Le mie prospettive cambiarono del tutto”.
Erano i primi anni Duemila. C’era molta differenza tra la pasticceria francese e quella italiana?
“Ai tempi le differenze erano enormi. Quella principale era nel gioco di colori e nelle consistenze. Ora le cose sono cambiate molto, almeno qui a Milano, ma ai tempi la pasticceria italiana non andava molto oltre i bignè, la Saint Honoré e il pan di Spagna. A Parigi si usavano invece le monoporzioni, le gelatine, i biscotti croccanti. In più cambiavano le forme”.
Dopo Parigi ci fu l’Australia.
“Sì, andai a Melbourne. Avevo trovato lavoro in una pasticceria che era anche una bakery anglosassone, per cui presto chiesi di occuparmi del reparto panetteria. Lì ho riscoperto le farine e il lievito madre”.
“Chi lo sa. Difatti sono durato tre anni per poi tornare all’arte bianca, nonostante mio padre non volesse, perché diceva che era un mestiere duro. Comunque sia, scelsi di cambiare vita e mi iscrissi al Capac di Milano, e tramite la scuola feci un mese di formazione a Parigi. Le mie prospettive cambiarono del tutto”.
Erano i primi anni Duemila. C’era molta differenza tra la pasticceria francese e quella italiana?
“Ai tempi le differenze erano enormi. Quella principale era nel gioco di colori e nelle consistenze. Ora le cose sono cambiate molto, almeno qui a Milano, ma ai tempi la pasticceria italiana non andava molto oltre i bignè, la Saint Honoré e il pan di Spagna. A Parigi si usavano invece le monoporzioni, le gelatine, i biscotti croccanti. In più cambiavano le forme”.
Dopo Parigi ci fu l’Australia.
“Sì, andai a Melbourne. Avevo trovato lavoro in una pasticceria che era anche una bakery anglosassone, per cui presto chiesi di occuparmi del reparto panetteria. Lì ho riscoperto le farine e il lievito madre”.
Marcello Salvatori, tre generazioni di panificatori alle spalle, ma lei sceglie di studiare chimica. Perché?
“Chi lo sa. Difatti sono durato tre anni per poi tornare all’arte bianca, nonostante mio padre non volesse, perché diceva che era un mestiere duro. Comunque sia, scelsi di cambiare vita e mi iscrissi al Capac di Milano, e tramite la scuola feci un mese di formazione a Parigi. Le mie prospettive cambiarono del tutto”.
Erano i primi anni Duemila. C’era molta differenza tra la pasticceria francese e quella italiana?
“Ai tempi le differenze erano enormi. Quella principale era nel gioco di colori e nelle consistenze. Ora le cose sono cambiate molto, almeno qui a Milano, ma ai tempi la pasticceria italiana non andava molto oltre i bignè, la Saint Honoré e il pan di Spagna. A Parigi si usavano invece le monoporzioni, le gelatine, i biscotti croccanti. In più cambiavano le forme”.
Dopo Parigi ci fu l’Australia.
“Sì, andai a Melbourne. Avevo trovato lavoro in una pasticceria che era anche una bakery anglosassone, per cui presto chiesi di occuparmi del reparto panetteria. Lì ho riscoperto le farine e il lievito madre”.
“Chi lo sa. Difatti sono durato tre anni per poi tornare all’arte bianca, nonostante mio padre non volesse, perché diceva che era un mestiere duro. Comunque sia, scelsi di cambiare vita e mi iscrissi al Capac di Milano, e tramite la scuola feci un mese di formazione a Parigi. Le mie prospettive cambiarono del tutto”.
Erano i primi anni Duemila. C’era molta differenza tra la pasticceria francese e quella italiana?
“Ai tempi le differenze erano enormi. Quella principale era nel gioco di colori e nelle consistenze. Ora le cose sono cambiate molto, almeno qui a Milano, ma ai tempi la pasticceria italiana non andava molto oltre i bignè, la Saint Honoré e il pan di Spagna. A Parigi si usavano invece le monoporzioni, le gelatine, i biscotti croccanti. In più cambiavano le forme”.
Dopo Parigi ci fu l’Australia.
“Sì, andai a Melbourne. Avevo trovato lavoro in una pasticceria che era anche una bakery anglosassone, per cui presto chiesi di occuparmi del reparto panetteria. Lì ho riscoperto le farine e il lievito madre”.
Lei è molto conosciuto proprio per il lievito madre. Cos’è che l’affascina?
“Forse mi riporta alle origine familiari, ci sono cresciuto. Ma tecnicamente mi piace la sfida che il lievito madre rappresenta. È una materia viva e un prodotto preparato con il lievito madre non è mai lo stesso. Lo devi gestire, curare, sentire tra le mani e seguire per tutta la giornata”.
Anche di notte, come faceva da Carlo Cracco in Galleria a Milano.
“Sì, lì per questioni organizzative con gli altri reparti. Io mi occupavo dei lieviti per pane, pizza e pasticceria”.
Come si tratta il lievito per questi tre diversi utilizzi?
“Si parte sempre dalla stessa base, il lievito madre. Poi le lavorazioni sono gestibili anche se il lavoro aumenta nel periodo festivo, sotto Natale e Pasqua, quando preparavamo i grandi lievitati. A volte ho dormito in laboratorio per controllare gli impasti”.
“Forse mi riporta alle origine familiari, ci sono cresciuto. Ma tecnicamente mi piace la sfida che il lievito madre rappresenta. È una materia viva e un prodotto preparato con il lievito madre non è mai lo stesso. Lo devi gestire, curare, sentire tra le mani e seguire per tutta la giornata”.
Anche di notte, come faceva da Carlo Cracco in Galleria a Milano.
“Sì, lì per questioni organizzative con gli altri reparti. Io mi occupavo dei lieviti per pane, pizza e pasticceria”.
Come si tratta il lievito per questi tre diversi utilizzi?
“Si parte sempre dalla stessa base, il lievito madre. Poi le lavorazioni sono gestibili anche se il lavoro aumenta nel periodo festivo, sotto Natale e Pasqua, quando preparavamo i grandi lievitati. A volte ho dormito in laboratorio per controllare gli impasti”.
Lei è molto conosciuto proprio per il lievito madre. Cos’è che l’affascina?
“Forse mi riporta alle origine familiari, ci sono cresciuto. Ma tecnicamente mi piace la sfida che il lievito madre rappresenta. È una materia viva e un prodotto preparato con il lievito madre non è mai lo stesso. Lo devi gestire, curare, sentire tra le mani e seguire per tutta la giornata”.
Anche di notte, come faceva da Carlo Cracco in Galleria a Milano.
“Sì, lì per questioni organizzative con gli altri reparti. Io mi occupavo dei lieviti per pane, pizza e pasticceria”.
Come si tratta il lievito per questi tre diversi utilizzi?
“Si parte sempre dalla stessa base, il lievito madre. Poi le lavorazioni sono gestibili anche se il lavoro aumenta nel periodo festivo, sotto Natale e Pasqua, quando preparavamo i grandi lievitati. A volte ho dormito in laboratorio per controllare gli impasti”.
“Forse mi riporta alle origine familiari, ci sono cresciuto. Ma tecnicamente mi piace la sfida che il lievito madre rappresenta. È una materia viva e un prodotto preparato con il lievito madre non è mai lo stesso. Lo devi gestire, curare, sentire tra le mani e seguire per tutta la giornata”.
Anche di notte, come faceva da Carlo Cracco in Galleria a Milano.
“Sì, lì per questioni organizzative con gli altri reparti. Io mi occupavo dei lieviti per pane, pizza e pasticceria”.
Come si tratta il lievito per questi tre diversi utilizzi?
“Si parte sempre dalla stessa base, il lievito madre. Poi le lavorazioni sono gestibili anche se il lavoro aumenta nel periodo festivo, sotto Natale e Pasqua, quando preparavamo i grandi lievitati. A volte ho dormito in laboratorio per controllare gli impasti”.
Lei utilizza anche una tecnica particolare, quella di tenere il lievito in acqua.
“Più che particolare è antica, ma era quasi dimenticata. L’ho riscoperta per esigenze personali ed è detta ‘metodo piemontese’. In sostanza, tenere il lievito madre in acqua scarica l’acidità. Ogni giorno, quando si procede al rinfresco, si cambia anche l’acqua”.
Qual è il ruolo del lievito madre in pasticceria?
“Noi lo usiamo molto per le colazioni, quindi per croissant, brioche e veneziane. Poi lo utilizziamo nei grandi lievitati e in un prodotto che vendiamo tutto l’anno, il bauletto”.
Come si sposano farina e lievito?
“Con il lievito madre io utilizzo la Lievitati Molino Casillo, perché ha un alto contenuto proteico”.
“Più che particolare è antica, ma era quasi dimenticata. L’ho riscoperta per esigenze personali ed è detta ‘metodo piemontese’. In sostanza, tenere il lievito madre in acqua scarica l’acidità. Ogni giorno, quando si procede al rinfresco, si cambia anche l’acqua”.
Qual è il ruolo del lievito madre in pasticceria?
“Noi lo usiamo molto per le colazioni, quindi per croissant, brioche e veneziane. Poi lo utilizziamo nei grandi lievitati e in un prodotto che vendiamo tutto l’anno, il bauletto”.
Come si sposano farina e lievito?
“Con il lievito madre io utilizzo la Lievitati Molino Casillo, perché ha un alto contenuto proteico”.
Lei utilizza anche una tecnica particolare, quella di tenere il lievito in acqua.
“Più che particolare è antica, ma era quasi dimenticata. L’ho riscoperta per esigenze personali ed è detta ‘metodo piemontese’. In sostanza, tenere il lievito madre in acqua scarica l’acidità. Ogni giorno, quando si procede al rinfresco, si cambia anche l’acqua”.
Qual è il ruolo del lievito madre in pasticceria?
“Noi lo usiamo molto per le colazioni, quindi per croissant, brioche e veneziane. Poi lo utilizziamo nei grandi lievitati e in un prodotto che vendiamo tutto l’anno, il bauletto”.
Come si sposano farina e lievito?
“Con il lievito madre io utilizzo la Lievitati Molino Casillo, perché ha un alto contenuto proteico”.
“Più che particolare è antica, ma era quasi dimenticata. L’ho riscoperta per esigenze personali ed è detta ‘metodo piemontese’. In sostanza, tenere il lievito madre in acqua scarica l’acidità. Ogni giorno, quando si procede al rinfresco, si cambia anche l’acqua”.
Qual è il ruolo del lievito madre in pasticceria?
“Noi lo usiamo molto per le colazioni, quindi per croissant, brioche e veneziane. Poi lo utilizziamo nei grandi lievitati e in un prodotto che vendiamo tutto l’anno, il bauletto”.
Come si sposano farina e lievito?
“Con il lievito madre io utilizzo la Lievitati Molino Casillo, perché ha un alto contenuto proteico”.
Lei parla più spesso di contenuto proteico che di W della farina. Perché?
“Perché un pasticcere e ogni professionista dell’arte bianca ormai guarda il contenuto proteico, la macinazione e la filiera come indice della qualità di una farina. Due farine possono avere lo stesso W, ma l’una può avere la metà delle proteine dell’altra”.
Per le colazioni che farina utilizza?
“La Croissant Molino Casillo, che pure si sposa con il lievito madre. È una farina meno proteica della Lievitati, e per questo riesco a ottenere una masticabilità molto fluida. Prima si usavano farine forti, e la masticazione era, per così dire, ‘ciccosa’. La Croissant dona, per usare un’espressione comune in Molino Casillo, un morso veloce”.
E a livello di profumi quali farine predilige?
“La linea Origine, in particolare la Tipo 1. È unica nel suo genere e noi da Ziva la usiamo sia per il pane che per frolle e biscotti. È molto genuina e regala un bouquet aromatico piacevole, con un sentore di tostato che altre farine non hanno”
“Perché un pasticcere e ogni professionista dell’arte bianca ormai guarda il contenuto proteico, la macinazione e la filiera come indice della qualità di una farina. Due farine possono avere lo stesso W, ma l’una può avere la metà delle proteine dell’altra”.
Per le colazioni che farina utilizza?
“La Croissant Molino Casillo, che pure si sposa con il lievito madre. È una farina meno proteica della Lievitati, e per questo riesco a ottenere una masticabilità molto fluida. Prima si usavano farine forti, e la masticazione era, per così dire, ‘ciccosa’. La Croissant dona, per usare un’espressione comune in Molino Casillo, un morso veloce”.
E a livello di profumi quali farine predilige?
“La linea Origine, in particolare la Tipo 1. È unica nel suo genere e noi da Ziva la usiamo sia per il pane che per frolle e biscotti. È molto genuina e regala un bouquet aromatico piacevole, con un sentore di tostato che altre farine non hanno”
Lei parla più spesso di contenuto proteico che di W della farina. Perché?
“Perché un pasticcere e ogni professionista dell’arte bianca ormai guarda il contenuto proteico, la macinazione e la filiera come indice della qualità di una farina. Due farine possono avere lo stesso W, ma l’una può avere la metà delle proteine dell’altra”.
Per le colazioni che farina utilizza?
“La Croissant Molino Casillo, che pure si sposa con il lievito madre. È una farina meno proteica della Lievitati, e per questo riesco a ottenere una masticabilità molto fluida. Prima si usavano farine forti, e la masticazione era, per così dire, ‘ciccosa’. La Croissant dona, per usare un’espressione comune in Molino Casillo, un morso veloce”.
E a livello di profumi quali farine predilige?
“La linea Origine, in particolare la Tipo 1. È unica nel suo genere e noi da Ziva la usiamo sia per il pane che per frolle e biscotti. È molto genuina e regala un bouquet aromatico piacevole, con un sentore di tostato che altre farine non hanno”
“Perché un pasticcere e ogni professionista dell’arte bianca ormai guarda il contenuto proteico, la macinazione e la filiera come indice della qualità di una farina. Due farine possono avere lo stesso W, ma l’una può avere la metà delle proteine dell’altra”.
Per le colazioni che farina utilizza?
“La Croissant Molino Casillo, che pure si sposa con il lievito madre. È una farina meno proteica della Lievitati, e per questo riesco a ottenere una masticabilità molto fluida. Prima si usavano farine forti, e la masticazione era, per così dire, ‘ciccosa’. La Croissant dona, per usare un’espressione comune in Molino Casillo, un morso veloce”.
E a livello di profumi quali farine predilige?
“La linea Origine, in particolare la Tipo 1. È unica nel suo genere e noi da Ziva la usiamo sia per il pane che per frolle e biscotti. È molto genuina e regala un bouquet aromatico piacevole, con un sentore di tostato che altre farine non hanno”
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