lunedì, 5 luglio 2021
AMBASSADOR'S WAY: VINCENZO FLORIO
Vincenzo Florio, da dove viene la sua passione?
«Ho iniziato la mia carriera per gioco, non per necessità. Ho studiato da tecnico commerciale, ma già a dodici-tredici anni andavo ad aiutare un pizzaiolo del mio paese (Toritto, Alta Murgia, ndr). Ho sempre lavorato fin da piccolo. Sapete, il vecchio detto “impara l'arte e mettila da parte”, nella mia famiglia, ha sempre avuto un grande peso. Così andavo nel pomeriggio a dare una mano in pizzeria e quello che guadagnavo si trasformava in scarpe, poi jeans, poi magari scooter, e alla fine in un'auto».
Se dovesse riconoscere il momento che l'ha avviata alla professione di pizzaiolo?
«Credo che se non avessi fatto il militare, e non l'avessi fatto come l'ho fatto, avrei seguito la strada di mio padre e sarei rimasto in campagna, nel settore agricolo. Invece partii per la naia, prima a Viterbo e poi a Galatina. Ero in aeronautica e il colonnello un giorno mi disse di preparare qualche pizza per i piloti. Fu quello il momento in cui cominciai a capire che non avrei voluto fare altro».
Poi, solita trafila e tanta gavetta?
«Esattamente. Dai 18 ai 22 anni qua e là, a imparare. A 22 anni la mia prima pizzeria. Ero molto giovane, non avevo esperienza di gestione nonostante gli studi commerciali. Un anno dopo, la mia pizzeria era chiusa, ma avevo capito molto. Ho ripreso a fare il dipendente, e ho cominciato a girare mezzo mondo. Quando mi sono sentito più sicuro sono tornato ad aprire qualcosa di mio».
«Ho iniziato la mia carriera per gioco, non per necessità. Ho studiato da tecnico commerciale, ma già a dodici-tredici anni andavo ad aiutare un pizzaiolo del mio paese (Toritto, Alta Murgia, ndr). Ho sempre lavorato fin da piccolo. Sapete, il vecchio detto “impara l'arte e mettila da parte”, nella mia famiglia, ha sempre avuto un grande peso. Così andavo nel pomeriggio a dare una mano in pizzeria e quello che guadagnavo si trasformava in scarpe, poi jeans, poi magari scooter, e alla fine in un'auto».
Se dovesse riconoscere il momento che l'ha avviata alla professione di pizzaiolo?
«Credo che se non avessi fatto il militare, e non l'avessi fatto come l'ho fatto, avrei seguito la strada di mio padre e sarei rimasto in campagna, nel settore agricolo. Invece partii per la naia, prima a Viterbo e poi a Galatina. Ero in aeronautica e il colonnello un giorno mi disse di preparare qualche pizza per i piloti. Fu quello il momento in cui cominciai a capire che non avrei voluto fare altro».
Poi, solita trafila e tanta gavetta?
«Esattamente. Dai 18 ai 22 anni qua e là, a imparare. A 22 anni la mia prima pizzeria. Ero molto giovane, non avevo esperienza di gestione nonostante gli studi commerciali. Un anno dopo, la mia pizzeria era chiusa, ma avevo capito molto. Ho ripreso a fare il dipendente, e ho cominciato a girare mezzo mondo. Quando mi sono sentito più sicuro sono tornato ad aprire qualcosa di mio».
Vincenzo Florio, da dove viene la sua passione?
«Ho iniziato la mia carriera per gioco, non per necessità. Ho studiato da tecnico commerciale, ma già a dodici-tredici anni andavo ad aiutare un pizzaiolo del mio paese (Toritto, Alta Murgia, ndr). Ho sempre lavorato fin da piccolo. Sapete, il vecchio detto “impara l'arte e mettila da parte”, nella mia famiglia, ha sempre avuto un grande peso. Così andavo nel pomeriggio a dare una mano in pizzeria e quello che guadagnavo si trasformava in scarpe, poi jeans, poi magari scooter, e alla fine in un'auto».
Se dovesse riconoscere il momento che l'ha avviata alla professione di pizzaiolo?
«Credo che se non avessi fatto il militare, e non l'avessi fatto come l'ho fatto, avrei seguito la strada di mio padre e sarei rimasto in campagna, nel settore agricolo. Invece partii per la naia, prima a Viterbo e poi a Galatina. Ero in aeronautica e il colonnello un giorno mi disse di preparare qualche pizza per i piloti. Fu quello il momento in cui cominciai a capire che non avrei voluto fare altro».
Poi, solita trafila e tanta gavetta?
«Esattamente. Dai 18 ai 22 anni qua e là, a imparare. A 22 anni la mia prima pizzeria. Ero molto giovane, non avevo esperienza di gestione nonostante gli studi commerciali. Un anno dopo, la mia pizzeria era chiusa, ma avevo capito molto. Ho ripreso a fare il dipendente, e ho cominciato a girare mezzo mondo. Quando mi sono sentito più sicuro sono tornato ad aprire qualcosa di mio».
«Ho iniziato la mia carriera per gioco, non per necessità. Ho studiato da tecnico commerciale, ma già a dodici-tredici anni andavo ad aiutare un pizzaiolo del mio paese (Toritto, Alta Murgia, ndr). Ho sempre lavorato fin da piccolo. Sapete, il vecchio detto “impara l'arte e mettila da parte”, nella mia famiglia, ha sempre avuto un grande peso. Così andavo nel pomeriggio a dare una mano in pizzeria e quello che guadagnavo si trasformava in scarpe, poi jeans, poi magari scooter, e alla fine in un'auto».
Se dovesse riconoscere il momento che l'ha avviata alla professione di pizzaiolo?
«Credo che se non avessi fatto il militare, e non l'avessi fatto come l'ho fatto, avrei seguito la strada di mio padre e sarei rimasto in campagna, nel settore agricolo. Invece partii per la naia, prima a Viterbo e poi a Galatina. Ero in aeronautica e il colonnello un giorno mi disse di preparare qualche pizza per i piloti. Fu quello il momento in cui cominciai a capire che non avrei voluto fare altro».
Poi, solita trafila e tanta gavetta?
«Esattamente. Dai 18 ai 22 anni qua e là, a imparare. A 22 anni la mia prima pizzeria. Ero molto giovane, non avevo esperienza di gestione nonostante gli studi commerciali. Un anno dopo, la mia pizzeria era chiusa, ma avevo capito molto. Ho ripreso a fare il dipendente, e ho cominciato a girare mezzo mondo. Quando mi sono sentito più sicuro sono tornato ad aprire qualcosa di mio».
Oggi ha un'accademia, segue varie linee di pizzerie in giro per il pianeta e ha un locale tutto suo in Italia. Deve aver visto cambiare molto la pizza e i pizzaioli...
«Sì, le pizze non sono più quelle di 20 o 30 anni fa. Questo settore è in costante aggiornamento e io personalmente ho investito più di 20mila euro in formazione. Ecco, la formazione: ai giovani dico “formatevi!”, è fondamentale. Non fosse stato per quel tipo di crescita, non avrei mai ottenuto dei risultati importanti».
Riprendiamo, allora, il racconto di quel percorso di crescita.
«A 29 anni ho aperto il primo locale a Molfetta, o meglio il secondo, ma è con quello che mi sono posizionato sul mercato. Poi ho ripreso a viaggiare e ho iniziato a fare il consulente. Nel 2017 ho aperto la mia accademia, la “International Pizza Academy”, e oggi siamo in Spagna, Malta, Colombia, Costa Rica, Albania, Svezia. Nel 2019, sempre a Molfetta, ho riaperto un locale, Combo, un format innovativo in cui ognuno, tramite il digitale, può creare la sua pizza».
Ecco, parliamo della sua pizza, anche perché pare ne abbia fatto una questione di identità.
«Infatti è così. Ed è stata la vera svolta. Riscoprire i nostri grani, quelli pugliesi, mi ha dato le soddisfazioni degli ultimi anni. Ma voi di Molino Casillo lo sapete».
«Sì, le pizze non sono più quelle di 20 o 30 anni fa. Questo settore è in costante aggiornamento e io personalmente ho investito più di 20mila euro in formazione. Ecco, la formazione: ai giovani dico “formatevi!”, è fondamentale. Non fosse stato per quel tipo di crescita, non avrei mai ottenuto dei risultati importanti».
Riprendiamo, allora, il racconto di quel percorso di crescita.
«A 29 anni ho aperto il primo locale a Molfetta, o meglio il secondo, ma è con quello che mi sono posizionato sul mercato. Poi ho ripreso a viaggiare e ho iniziato a fare il consulente. Nel 2017 ho aperto la mia accademia, la “International Pizza Academy”, e oggi siamo in Spagna, Malta, Colombia, Costa Rica, Albania, Svezia. Nel 2019, sempre a Molfetta, ho riaperto un locale, Combo, un format innovativo in cui ognuno, tramite il digitale, può creare la sua pizza».
Ecco, parliamo della sua pizza, anche perché pare ne abbia fatto una questione di identità.
«Infatti è così. Ed è stata la vera svolta. Riscoprire i nostri grani, quelli pugliesi, mi ha dato le soddisfazioni degli ultimi anni. Ma voi di Molino Casillo lo sapete».
Oggi ha un'accademia, segue varie linee di pizzerie in giro per il pianeta e ha un locale tutto suo in Italia. Deve aver visto cambiare molto la pizza e i pizzaioli...
«Sì, le pizze non sono più quelle di 20 o 30 anni fa. Questo settore è in costante aggiornamento e io personalmente ho investito più di 20mila euro in formazione. Ecco, la formazione: ai giovani dico “formatevi!”, è fondamentale. Non fosse stato per quel tipo di crescita, non avrei mai ottenuto dei risultati importanti».
Riprendiamo, allora, il racconto di quel percorso di crescita.
«A 29 anni ho aperto il primo locale a Molfetta, o meglio il secondo, ma è con quello che mi sono posizionato sul mercato. Poi ho ripreso a viaggiare e ho iniziato a fare il consulente. Nel 2017 ho aperto la mia accademia, la “International Pizza Academy”, e oggi siamo in Spagna, Malta, Colombia, Costa Rica, Albania, Svezia. Nel 2019, sempre a Molfetta, ho riaperto un locale, Combo, un format innovativo in cui ognuno, tramite il digitale, può creare la sua pizza».
Ecco, parliamo della sua pizza, anche perché pare ne abbia fatto una questione di identità.
«Infatti è così. Ed è stata la vera svolta. Riscoprire i nostri grani, quelli pugliesi, mi ha dato le soddisfazioni degli ultimi anni. Ma voi di Molino Casillo lo sapete».
«Sì, le pizze non sono più quelle di 20 o 30 anni fa. Questo settore è in costante aggiornamento e io personalmente ho investito più di 20mila euro in formazione. Ecco, la formazione: ai giovani dico “formatevi!”, è fondamentale. Non fosse stato per quel tipo di crescita, non avrei mai ottenuto dei risultati importanti».
Riprendiamo, allora, il racconto di quel percorso di crescita.
«A 29 anni ho aperto il primo locale a Molfetta, o meglio il secondo, ma è con quello che mi sono posizionato sul mercato. Poi ho ripreso a viaggiare e ho iniziato a fare il consulente. Nel 2017 ho aperto la mia accademia, la “International Pizza Academy”, e oggi siamo in Spagna, Malta, Colombia, Costa Rica, Albania, Svezia. Nel 2019, sempre a Molfetta, ho riaperto un locale, Combo, un format innovativo in cui ognuno, tramite il digitale, può creare la sua pizza».
Ecco, parliamo della sua pizza, anche perché pare ne abbia fatto una questione di identità.
«Infatti è così. Ed è stata la vera svolta. Riscoprire i nostri grani, quelli pugliesi, mi ha dato le soddisfazioni degli ultimi anni. Ma voi di Molino Casillo lo sapete».
Noi sì, ma i lettori no.
«Sono uno dei più vecchi affezionati alle farine Molino Casillo. Dal 2007 a oggi, ho incrociato tante figure professionali in azienda, ho visto cambiare il brand e crescere la famiglia. Sono sincero: non ho mai cambiato bandiera, neppure quando non lavoravo per Molino Casillo. I prodotti li ho usati e testati tutti...».
Grano tenero o grano duro?
«Per un periodo ho usato il grano tenero ma nel 2017 sono passato alla semola. Stavo attraversando un periodo di crisi d'identità, facevo solo formazione. Ad un certo punto ho preso mio figlio, un forno a legna mobile e ho cominciato a girare. Andavo alle fiere, alle feste, agli eventi. Proposta fissa: impasto di grano duro, mozzarella, pomodoro e un filo d'olio. Tutto, rigorosamente, made in Puglia. Costruivo quello che dicevamo prima, la mia identità. Ritrovavo le mie radici. Insomma, quella pizza piaceva a tutti quelli che l'assaggiavano».
Si è mai chiesto il perché?
«Sì. Io credo abbia a che fare con una nostra memoria interna. Intendo come esseri umani. Deve essere qualcosa di atavico. Una volta, certe preparazioni si facevano in casa, non c'era grano tenero. C'erano grano duro o integrale. Mio padre mi diceva che il grano era merce di scambio e non si poteva raffinare in casa. Sì, io credo sia nella nostra memoria, che è memoria comune, perché quello che ho scoperto in Puglia l'ho ritrovato in Svezia, dove la catena che seguo ha vinto il premio come migliore pizza grazie a un blend di farine di grano duro e tenero».
«Sono uno dei più vecchi affezionati alle farine Molino Casillo. Dal 2007 a oggi, ho incrociato tante figure professionali in azienda, ho visto cambiare il brand e crescere la famiglia. Sono sincero: non ho mai cambiato bandiera, neppure quando non lavoravo per Molino Casillo. I prodotti li ho usati e testati tutti...».
Grano tenero o grano duro?
«Per un periodo ho usato il grano tenero ma nel 2017 sono passato alla semola. Stavo attraversando un periodo di crisi d'identità, facevo solo formazione. Ad un certo punto ho preso mio figlio, un forno a legna mobile e ho cominciato a girare. Andavo alle fiere, alle feste, agli eventi. Proposta fissa: impasto di grano duro, mozzarella, pomodoro e un filo d'olio. Tutto, rigorosamente, made in Puglia. Costruivo quello che dicevamo prima, la mia identità. Ritrovavo le mie radici. Insomma, quella pizza piaceva a tutti quelli che l'assaggiavano».
Si è mai chiesto il perché?
«Sì. Io credo abbia a che fare con una nostra memoria interna. Intendo come esseri umani. Deve essere qualcosa di atavico. Una volta, certe preparazioni si facevano in casa, non c'era grano tenero. C'erano grano duro o integrale. Mio padre mi diceva che il grano era merce di scambio e non si poteva raffinare in casa. Sì, io credo sia nella nostra memoria, che è memoria comune, perché quello che ho scoperto in Puglia l'ho ritrovato in Svezia, dove la catena che seguo ha vinto il premio come migliore pizza grazie a un blend di farine di grano duro e tenero».
Noi sì, ma i lettori no.
«Sono uno dei più vecchi affezionati alle farine Molino Casillo. Dal 2007 a oggi, ho incrociato tante figure professionali in azienda, ho visto cambiare il brand e crescere la famiglia. Sono sincero: non ho mai cambiato bandiera, neppure quando non lavoravo per Molino Casillo. I prodotti li ho usati e testati tutti...».
Grano tenero o grano duro?
«Per un periodo ho usato il grano tenero ma nel 2017 sono passato alla semola. Stavo attraversando un periodo di crisi d'identità, facevo solo formazione. Ad un certo punto ho preso mio figlio, un forno a legna mobile e ho cominciato a girare. Andavo alle fiere, alle feste, agli eventi. Proposta fissa: impasto di grano duro, mozzarella, pomodoro e un filo d'olio. Tutto, rigorosamente, made in Puglia. Costruivo quello che dicevamo prima, la mia identità. Ritrovavo le mie radici. Insomma, quella pizza piaceva a tutti quelli che l'assaggiavano».
Si è mai chiesto il perché?
«Sì. Io credo abbia a che fare con una nostra memoria interna. Intendo come esseri umani. Deve essere qualcosa di atavico. Una volta, certe preparazioni si facevano in casa, non c'era grano tenero. C'erano grano duro o integrale. Mio padre mi diceva che il grano era merce di scambio e non si poteva raffinare in casa. Sì, io credo sia nella nostra memoria, che è memoria comune, perché quello che ho scoperto in Puglia l'ho ritrovato in Svezia, dove la catena che seguo ha vinto il premio come migliore pizza grazie a un blend di farine di grano duro e tenero».
«Sono uno dei più vecchi affezionati alle farine Molino Casillo. Dal 2007 a oggi, ho incrociato tante figure professionali in azienda, ho visto cambiare il brand e crescere la famiglia. Sono sincero: non ho mai cambiato bandiera, neppure quando non lavoravo per Molino Casillo. I prodotti li ho usati e testati tutti...».
Grano tenero o grano duro?
«Per un periodo ho usato il grano tenero ma nel 2017 sono passato alla semola. Stavo attraversando un periodo di crisi d'identità, facevo solo formazione. Ad un certo punto ho preso mio figlio, un forno a legna mobile e ho cominciato a girare. Andavo alle fiere, alle feste, agli eventi. Proposta fissa: impasto di grano duro, mozzarella, pomodoro e un filo d'olio. Tutto, rigorosamente, made in Puglia. Costruivo quello che dicevamo prima, la mia identità. Ritrovavo le mie radici. Insomma, quella pizza piaceva a tutti quelli che l'assaggiavano».
Si è mai chiesto il perché?
«Sì. Io credo abbia a che fare con una nostra memoria interna. Intendo come esseri umani. Deve essere qualcosa di atavico. Una volta, certe preparazioni si facevano in casa, non c'era grano tenero. C'erano grano duro o integrale. Mio padre mi diceva che il grano era merce di scambio e non si poteva raffinare in casa. Sì, io credo sia nella nostra memoria, che è memoria comune, perché quello che ho scoperto in Puglia l'ho ritrovato in Svezia, dove la catena che seguo ha vinto il premio come migliore pizza grazie a un blend di farine di grano duro e tenero».
Cosa le assicura il grano duro e quali consigli darebbe a chi lo vuole utilizzare per le sue pizze?
«Con le semole di grano duro non ci sono tecniche particolari. Le differenze stanno nella forza (W) e nel rapporto p/l. In parole povere, assorbono più acqua e hanno un basso indice glicemico. Così si guadagna in scioglievolezza al palato e in digeribilità. Se poi vogliamo aumentare i profumi, scegliamo una macinata a pietra oppure una con germe di grano, come quelle proposte nella nuova linea Molino Casillo».
Infine, se dovesse consigliare una farina o una semola da utilizzare, quale indicherebbe?
«Provate tutti i grani regionali Molino Casillo, ossia la linea Prime Terre. Ogni prodotto regionale ha la sua identità. Molino Casillo è presente in quasi ogni regione con coltivazioni seguite maniacalmente e una filiera cortissima, a “km vero”, ossia davvero a km zero. Abbiamo bisogno tutti di ripartire dal grano 100% italiano. Scopriamo i nostri territori, ci regalano meraviglie».
«Con le semole di grano duro non ci sono tecniche particolari. Le differenze stanno nella forza (W) e nel rapporto p/l. In parole povere, assorbono più acqua e hanno un basso indice glicemico. Così si guadagna in scioglievolezza al palato e in digeribilità. Se poi vogliamo aumentare i profumi, scegliamo una macinata a pietra oppure una con germe di grano, come quelle proposte nella nuova linea Molino Casillo».
Infine, se dovesse consigliare una farina o una semola da utilizzare, quale indicherebbe?
«Provate tutti i grani regionali Molino Casillo, ossia la linea Prime Terre. Ogni prodotto regionale ha la sua identità. Molino Casillo è presente in quasi ogni regione con coltivazioni seguite maniacalmente e una filiera cortissima, a “km vero”, ossia davvero a km zero. Abbiamo bisogno tutti di ripartire dal grano 100% italiano. Scopriamo i nostri territori, ci regalano meraviglie».
Cosa le assicura il grano duro e quali consigli darebbe a chi lo vuole utilizzare per le sue pizze?
«Con le semole di grano duro non ci sono tecniche particolari. Le differenze stanno nella forza (W) e nel rapporto p/l. In parole povere, assorbono più acqua e hanno un basso indice glicemico. Così si guadagna in scioglievolezza al palato e in digeribilità. Se poi vogliamo aumentare i profumi, scegliamo una macinata a pietra oppure una con germe di grano, come quelle proposte nella nuova linea Molino Casillo».
Infine, se dovesse consigliare una farina o una semola da utilizzare, quale indicherebbe?
«Provate tutti i grani regionali Molino Casillo, ossia la linea Prime Terre. Ogni prodotto regionale ha la sua identità. Molino Casillo è presente in quasi ogni regione con coltivazioni seguite maniacalmente e una filiera cortissima, a “km vero”, ossia davvero a km zero. Abbiamo bisogno tutti di ripartire dal grano 100% italiano. Scopriamo i nostri territori, ci regalano meraviglie».
«Con le semole di grano duro non ci sono tecniche particolari. Le differenze stanno nella forza (W) e nel rapporto p/l. In parole povere, assorbono più acqua e hanno un basso indice glicemico. Così si guadagna in scioglievolezza al palato e in digeribilità. Se poi vogliamo aumentare i profumi, scegliamo una macinata a pietra oppure una con germe di grano, come quelle proposte nella nuova linea Molino Casillo».
Infine, se dovesse consigliare una farina o una semola da utilizzare, quale indicherebbe?
«Provate tutti i grani regionali Molino Casillo, ossia la linea Prime Terre. Ogni prodotto regionale ha la sua identità. Molino Casillo è presente in quasi ogni regione con coltivazioni seguite maniacalmente e una filiera cortissima, a “km vero”, ossia davvero a km zero. Abbiamo bisogno tutti di ripartire dal grano 100% italiano. Scopriamo i nostri territori, ci regalano meraviglie».
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